Obscuritas

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view post Posted: 17/8/2023, 14:12 che canzone state ascoltando? - Off-Topic
Canzoni che riportano alla mente vecchi ricordi ❤️ Malaha


view post Posted: 19/2/2022, 09:32 Riccardo Ehrman - Sopravvissuti
Riccardo Ehrman (Firenze, 4 novembre 1929 – Madrid, 14 dicembre 2021) è stato un giornalista italiano. Di origine ebreo-polacca, a 13 anni fu rinchiuso nel campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, dove fu liberato dagli inglesi nel settembre 1943. Divenne giornalista e, dopo alcune parentesi in Canada, USA ed India, il corrispondente dalla Germania est per l'ANSA.

Ehrman era stato informato che il 9 novembre 1989 ci sarebbe stata una conferenza stampa, in cui sarebbero state anticipate grosse novità, ma egli, conoscendo l’indole del governo DDR, rimaneva abbastanza scettico.

Potsche, direttore dell'Adn (l'agenzia di informazione della Germania dell'Est), già la sera dell'8 novembre 1989 aveva rivelato al giornalista italiano che c'era un grande dibattito nel gruppo dirigente del partito comunista della DDR: il giorno prima si erano infatti decise graduali aperture nella legge di viaggio, che di fatto fino a quel momento aveva impedito l'espatrio ai cittadini tedesco-orientali. Sulle modalità di questo cambiamento normativo c'era evidentemente ancora uno scontro sotterraneo nella dirigenza intorno ad Egon Krenz ed Ehrman, che era a conoscenza del provvedimento di legge in materia di passaporti e libertà di movimento dei cittadini, temeva che sostanzialmente lasciasse immutato il divieto assoluto di attraversamento dei confini verso l’occidente.

Il giorno della conferenza, nella sala stampa del comitato centrale della SED, a rispondere vi era il responsabile dell'informazione del partito, Günter Schabowski. Questi, rispondendo alle domande dei giornalisti presenti, sottolineò come la politica di governo della DDR, negli ultimi anni, fosse intrisa di errori.

Appena dopo tali affermazioni, ad Ehrman, che teneva la mano alzata già da diverso tempo, fu dato il diritto di porre altre domande. Allora il giornalista italiano chiese appunto se anche quel recente provvedimento fosse stato un altro di quegli errori. Schabowski rispose stizzito che non lo era affatto e tirò fuori dalla tasca della giacca un documento governativo e comincio a leggerlo dettagliatamente.

Quel documento conteneva delle disposizioni che davano ai cittadini della Germania Est il diritto di attraversare i check point ed entrare nel territorio della Germania Ovest.

A quel punto Ehrman e altri giornalisti incalzarono Schabowski domandandogli da quando il nuovo regolamento sui transiti tra le due Germanie sarebbe entrato in funzione e Schabowski, che non aveva ricevuto istruzioni dal Politbüro, rispose: "a quanto ne so io, subito, da ora" ("ist das sofort").

Le parole ebbero un'eco immediata e subito moltissime persone si recarono presso il muro, leggendo l'annuncio come la decisione di aprire il confine tedesco per lasciar passare i cittadini che volessero andare a Ovest. Le guardie di confine, sorprese e prive di indicazioni, aprirono i checkpoint e una gran massa di berlinesi dell'est si riversò a ovest senza controllo. Il 9 novembre 1989 è quindi considerata la data della caduta del muro di Berlino.

È morto il 14 dicembre 2021 a Madrid, dove viveva assieme alla moglie in seguito al suo pensionamento, all’età di 92 anni.

Una piccola curiosità il signor Fingesten, internato a Ferramonti, ha donato un'altra opera, in questa è ritratta la mamma di Riccardo, da poco scomparso. Ciò che le rende ancor più straordinarie e’ che sono state realizzate a Ferramonti durante gli anni dell’ internamento. La moglie Margharita Vela ha voluto realizzare la sua volontà donando queste opere che arricchiscono il Museo Internazionale della Memoria di Ferramonti rendendolo sempre più un unicum a livello mondiale.
view post Posted: 3/2/2022, 17:04 Aurelia Gregori - Biografie e Personaggi
La signora Aurelia Gregori è venuta al mondo nel campo di concentramento di Auschwitz il 13 gennaio del 1945. Il suo è un racconto inedito. Quest'anno compie 76 anni. Ma in questo caso, conta, insieme alla data di nascita, il luogo in cui questa è avvenuta.

I documenti conservati nell’Archivio di Auschwitz
È la vicenda di uno dei due neonati italiani la cui identità è stata ricostruita attraverso l’analisi di documenti conservati nell’Archivio di Auschwitz, l’elenco delle donne con bambini ricoverate, dopo la nascita, nell’ospedale allestito nell’ex Lager subito dopo l’arrivo dei sovietici, i cui dati sono stati analizzati e messi a confronto con la documentazione italiana di vario tipo e della Croce Rossa internazionale. È un lavoro coordinato da Marcello Pezzetti, uno dei massimi studiosi della Shoah, insieme alla storica Sara Berger, che, con Pezzetti, per la Fondazione Museo della Shoah di Roma, ha effettuato la ricerca per la realizzazione dell’esposizione «Dall’Italia ad Auschwitz», da Liliana Picciotto e dal suo staff del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, da Laura Tagliabue, dell’ANED di Sesto San Giovanni, e da Dunja Nanut, dell’ANED di Trieste.

La deportazione dall’Italia
Ne sta uscendo un quadro della deportazione dall’Italia ad Auschwitz del tutto inedito, ricco di novità assolute, spesso sconvolgenti. Una di queste è l’avvenuta deportazione di un numero incredibilmente consistente di donne da Trieste, arrestate in tutto il territorio del Litorale Adriatico, incarcerate nel penitenziario del Coroneo e deportate ad Auschwitz, come tutte le persone di origine ebraica. Tra queste donne c’erano le due giovani che hanno dato alla luce un bambino e una bambina nelle condizioni insostenibili del campo di Auschwitz. Una di queste era Aurelia Gregori, una ragazza triestina di ventitrè anni che partorì, in quell’inferno, una bambina alla quale diede poi il suo stesso nome. «Mia mamma non era ebrea e non era antifascista. Era una ragazza come tante. Fu presa da due fascisti che la sequestrarono e la portarono a Villa Triste dove fu stuprata. Poi l’hanno messa su uno di quei treni piombati, destinazione Birkenau».

Villa Trieste
Villa Triste era in via Bellosguardo numero otto, a Trieste. Era stata la casa di una famiglia ebraica che, per spietato contrappasso, fu trasformata nella sede dell’Ispettorato speciale di Pubblica Sicurezza dove operava la banda Collotti che prendeva il nome da un funzionario di polizia che Paolo Rumiz ha così descritto: «Il capo era tale Gaetano Collotti, un tipo distinto che andava a messa ogni mattina prima di iniziare il lavoro. Per non far sentire le urla dei disgraziati — in gran parte sloveni del Carso e altri antifascisti di lingua italiana — faceva sparare intorno musica ad alto volume». Molti sono stati torturati lì e anche nella caserma dei carabinieri di via Cologna. È sempre Rumiz a dare voce al racconto di quel martirio attraverso le parole di Sonia Amf Kanziani: «Un giorno mi appesero con altre tre donne. Avevamo solo gli alluci che toccavano terra. Guardi, porto ancora ai polsi i segni delle corde. Ci picchiavano e Collotti guardava, impassibile. Diceva: se parli ti aiuteremo. Ma aveva due cani lupo pronti a strapparci la carne. A un tratto mormorai in sloveno: Gesù, a te ti hanno tormentato per tre giorni, io sono qui da tre mesi. Tu ci hai messo tre ore a morire, io muoio ogni giorno... Allora mi percossero ancora più forte, gridando che non dovevo parlare quella lingua schifosa. Furono in molti a vedermi uscire svenuta e piena di sangue dalla stanza. A guerra finita un medico mi visitò e mi chiese come avevo fatto a uscire viva da una simile pena».

Violentata dagli aguzzini
«Mia madre» dice oggi Aurelia Gregori «lì fu violentata dagli aguzzini che poi l’hanno trasferita ad Auschwitz-Birkenau. Solo quando sono stata più grande mi ha raccontato ciò che aveva subito nel campo: le baracche, i corpi delle persone agonizzanti portati dentro la sera per essere spostati, morti, il mattino dopo. L’orrore delle kapò che si vendevano ai nazisti. Mi ha raccontato di quando ha contratto il tifo, al sesto mese di gravidanza, e di quante persone ha visto cadere intorno a lei per sfinimento, fame, freddo. Non ci si rende conto di cosa fosse l’inverno lì. Mamma andava con le altre prigioniere a vuotare al mattino i bidoni con le feci nella tundra, nel gelo, sotto zero e vestite di niente. Lei non ce la faceva più, voleva farla finita, era al nono mese, era stremata. Una sua compagna era fuggita e i nazisti, quando qualcuno scappava, scioglievano i cani che prendevano i fuggitivi e li sbranavano. Le Ss non si erano accorte che mamma era incinta perché lei era alta e nascondeva la pancia. Altrimenti l’avrebbero certamente mandata nella camera a gas. È stata fortunata e io con lei. Col tifo ha temuto di non farcela, mi ha detto che pensava: “Muoio e muoio insieme a te”. Dio ci ha salvate, insieme.

Il parto su un tavolaccio di legno
Io sono nata a gennaio. Il parto glielo hanno fatto fare su un tavolaccio di pietra. Mamma non aveva le doglie, le contrazioni, non riusciva a partorire. Era troppo debole, aveva fame, non mangiava nulla, aspettava che qualcuno morisse per prendere un pezzo di pane. Mi ha detto: “Dovevo far sopravvivere te e me. Eravamo in due. Io pensavo che saresti venuta fuori come un mostro. Se fosse stato così ti avrei lasciato lì, sotto la neve. Invece, nonostante tutto, eri una bella bambina. Avevi molti peli, e questo ti salvò dalla marchiatura col numero che i nazisti volevano farti”. Mia mamma cercò invece, con un chirurgo, di far venire via quelle cifre impresse nel suo braccio. A Trieste, dopo la guerra, meno parlavi dei lager e dei nazisti e meglio era. Io, che lavoravo in ospedale nel reparto geriatrico, stavo zitta. Alla scuola elementare le maestre, che erano ebree, certamente avranno avuto un sobbalzo nel leggere il luogo in cui ero nata, ma non mi hanno mai detto nulla». Aurelia è rimasta in vita perché non era ebrea, altrimenti sarebbe stata eliminata come i tanti bambini le cui foto ogni giorno l’Auschwitz Memorial pubblica sui social network.

I bambini nei lager
Furono portati nel lager circa duecentotrentamila bambini e adolescenti, ne sopravvissero alcune centinaia. Ci sono pagine atroci come quella del martirio dei venti bambini ebrei sequestrati da Mengele per gli esperimenti e poi trucidati nella scuola di Bullenhuser Damm o il racconto che faceva Shlomo Venezia, uno dei deportati, che testimoniò di aver visto con i suoi occhi un neonato strappato dal seno della madre morta nella camera a gas e lanciato in aria dai nazisti che gli spararono così. Aurelia riprende a parlare: «Io non sono mai voluta andare ad Auschwitz, mamma invece ci è tornata con l’associazione. Lei ha sofferto tanto, per tutta la vita. Faceva la pulitrice dei condomini. È morta nel 2012, il 14 marzo». Di lei i freddi dati degli archivi dicono questo: «Aurelia Gregori (1921-2012), nata a Sant’Antonio (Villa Decani, Capodistria, oggi in Slovenia) viene arrestata il 24 maggio 1944 a Trieste nella sua abitazione di Largo Barriera Vecchia n. 14. Quando viene deportata ad Auschwitz, dove arriva il 25 giugno 1944, è incinta di tre mesi. Immatricolata con il numero 82120, resiste alle spaventose condizioni igienico-sanitarie del campo e il 13 gennaio 1945, due settimane prima dell’arrivo dell’Armata Rossa, riesce a dare alla luce una bimba che riceve il suo stesso nome: Zlatka/Aurelia Gregori. La bimba viene battezzata nel febbraio in una chiesa a Brzeszcze. Aurelia rientra a Trieste il 20 settembre 1945». Dell’altro bambino nato ad Auschwitz si sa solo che, da grande, non ce l’ha fatta.
view post Posted: 28/1/2022, 13:31 Gaetano Marrari - Biografie e Personaggi
Gaetano Marrari (Reggio Calabria, 13 maggio 1891 – 17 marzo 1987).
Figlio di Fortunato, commerciante di tessuti con uno storico negozio in Corso Garibaldi a Reggio Calabria, e di Rosaria Di Pietro, si arruolò come volontario nell’Esercito all’età di 19 anni, partecipando alla guerra italo-turca del 1911 e poi alla campagna di Libia dal 1913. Nel 1915 combatté sul fronte italo-austriaco nella Prima Guerra Mondiale e al termine della guerra, nel 1919, fu nominato agente investigativo nell’Arma dei Carabinieri diventando poi agente di Pubblica Sicurezza nel 1925. Una carriera onesta, gratificata da numerose medaglie per il contributo fornito alla Patria nelle campagne belliche, prevalentemente a Roma, come ricorda la figlia Maria Cristina.
Era da poco iniziata la Seconda Guerra Mondiale e Marrari, nel frattempo promosso al grado di maresciallo, chiese di poter tornare in Calabria assieme alla propria famiglia e ottenne il trasferimento, con la nomina di Comandante del Corpo di Pubblica Sicurezza nel campo di internamento di Ferramonti, nel comune di Tarsia, a circa 30 chilometri a nord di Cosenza, dove rimase in servizio dal 1940 al 1943. In questa realtà, diretta da Paolo Salvatore, un legionario fiumano compagno d’armi del Segretario Generale del Pnf, Ettore Muti, proveniente dalla colonia di confinati sull’isola di Ponza con mansioni di commissario di Pubblica Sicurezza, si trovò a operare il maresciallo Marrari.
Il campo di Ferramonti era costituito da 92 baracche, alcune in legno, altre in cemento, il servizio d’ordine era costituito da 75 unità, e gli internati erano prevalentemente ebrei di sesso maschile provenienti in gran parte dall’Austria, dalla Cecoslovacchia, dalla Polonia, dall’Ungheria, finanche dalla Cina. In seguito vi furono portati anche donne, bambini apolidi, omosessuali, massoni, dissidenti politici in buona parte slavi, francesi e greci, appartenenti a Paesi che erano in guerra con l’Italia, solo nel 1943 arrivò uno sparuto gruppo di antifascisti italiani. All’interno del campo nacquero ben 21 bambini e vennero celebrati matrimoni ebraici. Pur rimanendo un campo di internamento, dove la vita degli internati non era priva di stenti e di bisogni primari, in quello di Ferramonti, grazie anche all’atteggiamento bonario del maresciallo Marrari che sapeva interpretare con umanità i regolamenti, nulla di quel che accade può essere lontanamente paragonato alla durezza di altri campi. Aggiungere l’aggettivo «umano» a un campo di internamento è un ossimoro che fa rabbrividire, ma quando si parla di umanità si sottolineano soprattutto le qualità di Marrari che non mancò mai di riconoscere la dignità delle persone presenti nel campo. Il direttore del campo Salvatore (che fu poi sollevato dall’incarico nel gennaio del 1943 perché ritenuto «troppo umano» e sostituito prima con Leopoldo Pelosio e in seguito con Mario Fraticelli, entrambi Commissari di Pubblica Sicurezza) e il maresciallo Marrari consentivano ai prigionieri di scrivere e di lavorare fuori Ferramonti.
La figlia di Marrari, Maria Cristina ricorda che «chi sceglieva di lavorare veniva accompagnato dagli agenti fuori dal campo per aiutare i contadini del luogo e al rientro sotto la legna che portavano al campo nascondevano beni di prima necessità che erano riusciti a barattare o comprare, per i quali esisteva il divieto di introdurli all’interno di Ferramonti».
Un episodio, tra i tanti, ha caratterizzato l’operato di Marrari, quello avvenuto nei giorni successivi all’8 settembre del 1943, quando le truppe tedesche di Hermann Goering si diressero a Ferramonti, che – peraltro – insisteva in una zona malarica, per fare tabula rasa del campo e dei detenuti. Marrari, però, li aveva fatto nascondere nei dintorni, e accolse i soldati nazisti agitando una bandiera gialla, per segnalare che i baraccati erano affetti da un’epidemia di colera. Riuscì in questo modo a dissuaderli dall’avvicinarsi per la possibile trasmissione del contagio, al punto che proseguirono nella ritirata. La riconoscenza dei sopravvissuti è custodita nei tanti gesti e nelle tante lettere inviategli che la famiglia conserva gelosamente.
Nel maggio 1950 l’allora ministro dell’Agricoltura di Israele, J. D. Ophen, a Reggio per l’inaugurazione della Fiera Agrumaria, volle incontrarlo per conoscerlo e ringraziarlo per il comportamento tenuto nei confronti della Comunità ebraica.
Alcuni degli internati salvati si stabilirono in Italia o sono diventati noti, come l’architetto austriaco Alfred Wiesner, industriale del gelato e creatore del marchio “Algida”, il produttore cinematografico Moris Ergas, il medico slavo David Mel (che nel campo faceva il cuoco), più volte candidato al Premio Nobel, l’ingegnere olandese Edward Eugene Stolper, massone e studioso di esoterismo, l’editore austriaco Gustav Brenner che, allontanandosi dal campo, a Roggiano Gravina conobbe Emilia Iaconianni e la sposò poi nel 1947 stabilendosi a Cosenza.
Marrari, al termine della Seconda Guerra Mondiale, si ritirò assieme alla sua famiglia a Reggio Calabria, dove scomparve il 17 marzo del 1987. Nel 1985 la Regione Calabria lo aveva insignito della Medaglia d’oro. Il 24 gennaio 2017 la città di Reggio Calabria gli ha intitolato una via nel rione Marconi.


La testimonianza della figlia Maria Cristina: «All’interno del campo, ancorché militarizzato, nacquero bambini, furono celebrati matrimoni, c’erano le scuole e le persone, seppure controllate, potevano circolare, incontrarsi, pregare secondo il loro culto e lavorare anche fuori dal campo. Erano molte le attività svolte e tanti furono anche gli spettacoli e i concerti che gli stessi internati animarono. Lì, dentro, gli uomini, le donne e i bambini potevano consolarsi scrivendo, disegnando e suonando. Ma i tempi erano difficili e ricordo il giorno in cui fu issata la bandiera gialla, per annunciare un’epidemia di colera all’interno del campo, che in realtà non c’era, e così dissuadere le truppe tedesche, pronte a controllare e deportare nei loro campi di sterminio, dall’ingresso», ha sempre instancabilmente raccontato la figlia del maresciallo reggino Gaetano Marrari, Maria Cristina, scomparsa qualche anno fa. Nel campo lei aveva vissuto, trasferitasi con tutta la famiglia e sempre ricordava quella decisione così rischiosa assunta anche dal padre e quel gesto che salvò la vita di tantissime persone.
view post Posted: 27/1/2022, 17:04 Giuseppe Jona - Biografie e Personaggi
Giuseppe Jona (Venezia, 28 ottobre 1866 – Venezia, 17 settembre 1943) è stato un medico italiano. Giuseppe Jona nacque a Venezia il 28 ottobre 1866 da una famiglia ebraica. Quarto di cinque fratelli, studiò al liceo Marco Foscarini e si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Padova, dove ebbe come maestri Luigi Paganuzzi, Achille De Giovanni e Augusto Bonome. Si laureò con il massimo dei voti nel 1892 e rimase presso l'Istituto di Anatomia Patologica diretto dal Bonome.

Nel 1895, iniziò la sua collaborazione all'Ospedale Civile di Venezia con Luigi Paganuzzi, che dal 1871 aveva ricoperto il posto di dissettore anatomico, passando poi, nel 1882, a dirigere il reparto di medicina II.

Alla morte di Paganuzzi (1901), Jona lo sostituì alla guida interinale della divisione e la direzione dell'Ospedale Civile gli affidò anche il Gabinetto Batteriologico. In questo duplice ruolo il giovane medico seppe aggregare intorno a sé un attivo gruppo di studiosi e alimentò il dibattito scientifico con molteplici pubblicazioni specialistiche. Nel 1901 ottenne all'Università di Padova la libera docenza e l'anno seguente vinse il concorso per il posto di primario dell'Ospedale Civile di Grosseto. Pochi mesi dopo fu tuttavia richiamato a Venezia al Santi Giovanni e Paolo per ricoprire il ruolo di primario dissettore lasciato dal Cavagnis; nel 1905 vinse il concorso che lo confermò in quel posto.

Fra il 1906 e il 1912 egli riuscì a trasformare la sala anatomica veneziana nell'Istituto Anatomo-Patologico dell'Ospedale Civile. Nel 1911, vinse il concorso a primario della divisione medica II.

Nel 1917, nei giorni che seguirono la battaglia di Caporetto, offrì la sua opera all'autorità militare in qualità di ispettore malariologo e consulente medico-legale di tutti gli ospedali militari. Si distinse come membro del Comitato di Assistenza Civile tanto che il Ministero dell'Interno lo riconobbe "patriota entusiasta di fede incrollabile" che aveva dato "tutta la sua opera infaticabile di cittadino alla patria. Vero esempio di attività e di altissimo valore civile".

Tra 1921 al 1925 fu il ventisettesimo presidente dell'Ateneo Veneto, istituto nel quale era entrato a far parte fin dal 1901. Come presidente, avvalendosi della collaborazione di Giulio Lorenzetti, potenziò la diffusione della cultura e incrementò la biblioteca circolante. Promosse inoltre con gruppi di soci dell'Ateneo la conoscenza e l'approfondimento di temi veneziani di primaria importanza come le comunicazioni fra la città e la Terraferma, il problema del porto e del suo entroterra, la valorizzazione degli istituti cittadini di alta cultura, la formazione professionale e la situazione delle case popolari. Egli cercò di favorire lo sviluppo di due istituti scientifici legati alla tradizione e alla specificità veneziane: la stazione idrobiologica del Lido, che avrebbe dovuto collocarsi accanto alla già esistente stazione talassografica, e l'istituto di anatomia patologica dell'Ospedale Civile.

Nel 1931, in occasione del venticinquesimo anno del suo primariato, gli allievi gli dedicarono una pubblicazione celebrativa. Dal 1933 fu socio dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.

Nel 1936 dopo quarant'anni di servizio, Jona si congedò dai suoi allievi. In pensione per i sopraggiunti limiti di età, l'anziano maestro evitò l'umiliazione di essere cacciato dal suo ospedale in seguito alle leggi razziali fasciste del 1938, ma perse la libera docenza e fu radiato dall'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e dall'Ateneo Veneto. Nel 1940 fu depennato dall'Albo dei Medici come gli altri suoi correligionari e fu privato della sua professione.

Il 16 giugno 1940, anche se non era ebreo praticante, egli assunse il compito di guidare la comunità israelitica. Anche dopo l'8 settembre 1943 scelse di rimanere a Venezia come riferimento per chi non voleva o non poteva fuggire. Di fronte alla richiesta delle autorità tedesche di consegnare una lista aggiornata degli ebrei rimasti in città e al timore che potessero costringerlo a collaborare, Jona il 14 settembre redasse accurato testamento, lasciando gran parte dei suoi beni ad opere sociali e caritatevoli, e tre giorni dopo pose termine alla sua vita, dopo aver distrutto ogni documento in suo possesso che potesse rivelare l'identità e il domicilio degli ebrei veneziani. Il suo atto ostacolò l'attuazione dei piani di deportazione e lanciò un segnale preciso alla comunità circa la drammaticità della situazione.

Giuseppe Jona è ricordato oggi in una targa del Campo del Ghetto di Venezia come "maestro di rettitudine e bontà" per aver aiutato la comunità ebraica "nell'ora tristissima della persecuzione", offrendo "i tesori dell'anima sua grande".

A lui è dedicato il padiglione "Giuseppe Jona" dell'Ospedale Civile di Venezia.
view post Posted: 26/12/2020, 19:57 Das Boot (serie televisiva) - SerieTV e Film


Das Boot è una serie televisiva franco-tedesca di guerra, sequel del film del 1981 U-Boot 96 di Wolfgang Petersen, ambientata un anno dopo gli eventi del film. È basata sui romanzi Das Boot e Die Festung di Lothar-Günther Buchheim. Viene trasmessa dal 23 novembre 2018 su Sky One.

In Italia, la serie va in onda dal 4 gennaio 2019 su Sky Atlantic.

Il 6 dicembre 2018, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione, che ha esordito il 24 aprile 2020.

Trama
La serie, ambientata nel 1942, si concentra sulla resistenza francese a La Rochelle, sulla base sottomarina La Pallice, e sulla difficile vita che affronta un giovane equipaggio a bordo del sommergibile tedesco U 612 in missione in acque nemiche.

Produzione
Le riprese della seconda stagione sono avvenute nella Repubblica Ceca dall'aprile al giugno 2019[5] e nel giugno e luglio dello stesso anno a Malta.
view post Posted: 20/12/2020, 22:38 Nedo Fiano - Biografie e Personaggi



Nedo Fiano (Firenze, 22 aprile 1925 – Milano, 19 dicembre 2020) è stato uno scrittore italiano di religione ebraica, superstite dell'Olocausto, sopravvissuto nel campo di concentramento di Auschwitz. Fu uno dei più attivi testimoni contemporanei dell'esperienza dell'Olocausto in Italia.

Biografia

Primi anni
Nato a Firenze, dopo la promulgazione delle leggi razziali fasciste nel 1938, dovette abbandonare la scuola a 13 anni perché di religione ebraica. Proseguì gli studi presso una piccola scuola organizzata autonomamente all'interno della comunità ebraica fiorentina. Cinque anni dopo l'Italia firmò l'armistizio con gli Alleati, mentre i tedeschi occuparono l'Italia centro settentrionale. Fiano e la sua famiglia, tutti di origine ebraica, fuggirono da casa cercando rifugio nelle dimore di amici. Dopo le difficoltà incontrate nel trovare una dimora, trovarono ospitalità presso la casa di un amico del padre (Armando Sontes).
Il 6 febbraio 1944, all'età di 18 anni, la polizia fascista lo arrestò mentre passeggiava in via Cavour a Firenze e lo rinchiuse nel carcere della città per il suo essere ebreo. Successivamente venne trasferito al campo di transito di Fossoli, insieme con altri undici membri della sua famiglia.

Deportazione
«Ciò che ha connotato tutta la mia vita è stata la mia deportazione nei campi di sterminio nazisti. Con me ad Auschwitz finì tutta la mia famiglia, vennero sterminati tutti. A diciotto anni sono rimasto orfano e quest’esperienza così devastante ha fatto di me un uomo diverso, un testimone per tutta la vita»

Il 16 maggio 1944 fu deportato, insieme con tutti i suoi familiari arrestati, presso il campo di concentramento di Auschwitz.

Viaggio
Il viaggio durò sette giorni e sette notti all'interno di un vagone usato per il trasporto di bestiame, senza sapere cosa stesse succedendo e il perché. Alle sei del mattino dell'ottavo giorno il treno si fermò e le persone all'interno del vagone caddero una sopra l'altra. All'entrata del campo, Fiano intravide, immerse nel buio, solo quattro ciminiere riconducibili alla presenza di un complesso industriale. Ad Auschwitz arrivò il 23 maggio. La sua matricola di prigioniero era A5405.

La vita nel campo
Una volta raggruppati, gli ignari internati erano divisi tra uomini e donne. Le persone venivano messe in fila e si decideva la loro sorte. La madre di Fiano morì il giorno stesso dell'arrivo al campo, mandata nelle camere a gas. Le persone mandate alle camere a gas dovevano attraversare tre camere differenti. Nella prima, un complesso di docce, venivano fatte spogliare; nella seconda erano radunate e controllate in caso avessero nascosto qualche cosa; nella terza si procedeva all'uccisione mediante il meccanismo del gas, che impiegava una quindicina di minuti a fare effetto. Una volta morte venivano tradotte nei forni crematori e bruciate; le ceneri erano infine utilizzate come mangime per i pesci o concime per la terra. Questi forni crematori restavano in funzione tutto il giorno tranne la notte perché il fumo poteva essere scoperto dagli aerei nemici.

I bambini di età inferiore ai 14 anni incontravano anche loro la morte appena arrivati nel campo. Talora accadeva che i neonati, presi alle madri, davanti ai loro occhi venivano lanciati in aria e uccisi con un colpo di pistola. Una volta morti venivano bruciati anche loro nei forni crematori come le madri.

Nel campo tutti gli uomini dovevano radunarsi alle quattro e trenta del mattino nella piazza centrale disposti in una geometria perfetta. Tutti i compiti e i diversi ordini dovevano essere svolti in pochi minuti e rispettando il tempo prestabilito altrimenti si era malmenati o anche uccisi.

Attività dopo la liberazione
L'11 aprile 1945 fu liberato dalle forze alleate nel campo di concentramento di Buchenwald, dove era stato trasferito dai nazisti in fuga, unico superstite della sua famiglia.

La mattina seguente al suo rientro a Firenze, decise di ritornare nella sua vecchia casa per vedere cosa era rimasto dopo la sua deportazione, ritrovando però solo macerie. In condizioni di grave indigenza, fu aiutato dai cugini, unici familiari rimasti in vita perché non deportati. In seguito, riprese gli studi con l'obiettivo di diventare perito tessile per avere un diploma che gli permettesse un accesso al mondo del lavoro.

In questo periodo di difficoltà economiche, Fiano partecipò a una festa religiosa ebraica al Teatro della Pergola di Firenze dove ritrovò Rina Lattes. Rirì, pseudonimo della donna, alla quale il signor Fiano “tirava le trecce ai tempi nella scuola della comunità ebraica di Firenze frequentata al posto di quelle governative vietate dalle leggi razziali”, rappresenta per lui il ritrovamento di un affetto perduto.

I due si sposarono il 30 ottobre 1949 e, dopo solo un anno, nel 1950 nacque il primogenito Enzo, nel 1955 il secondo figlio Andrea.

L'anno dopo la famiglia si trasferì a Milano dove Fiano aveva trovato un impiego nell'industria tessile. Nel 1963, decise di iscriversi all'università Bocconi di Milano, in concomitanza con l'arrivo del terzo figlio, Emanuele Fiano. Nonostante gli impegni familiari e lavorativi, si laurea nel 1968, dando una svolta alla sua carriera e vita a una società di marketing. Di lì a poco, inizierà a portare la sua testimonianza in giro per l'Italia e per le scuole.

Nel 1997 è fra i testimoni del film-documentario Memoria presentato al Festival di Berlino.

Nel 2003 ha pubblicato il libro A 5405. Il coraggio di vivere, nel quale ha raccontato la sua esperienza di deportato.

È stato uno dei consulenti di Roberto Benigni nel film La vita è bella; è apparso in numerosi programmi televisivi di divulgazione e ha preso parte a molti documentari, tra i quali Volevo solo vivere di Mimmo Calopresti, Un treno per Auschwitz di Bruno Capuana, Un giorno qualunque di Hendrick Wijmans.

Il 7 dicembre 2008 ha ricevuto l'Ambrogino d'oro, conferitogli dal Comune di Milano. Il 22 maggio 2010 a Pontremoli ha ricevuto il Premio Bancarellino, per il libro Il passato ritorna (Editrice Monti).

Massone, il 2 aprile 2011 è stato nominato Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d'Italia durante la riunione della "Gran Loggia" a Rimini.

Il messaggio agli studenti
L'esperienza della deportazione gli ha provocato la perdita della famiglia e un doloroso ricordo. L'Italia e la Germania erano sottomesse al potere di Hitler, per questo motivo Fiano ritiene la democrazia, ovvero il potere del popolo, un bene irrinunciabile. Le sue speranze si rivolgono soprattutto ai giovani, portando avanti il ricordo dei fatti, della sofferenza, degli errori e dell'alienazione.

Durante il suo racconto su Auschwitz, Fiano ricollega tutte le situazioni sempre a due importanti elementi: la madre e il treno. Parlando della madre si paragona a Primo Levi il quale, sopravvissuto allo sterminio torna a Torino e sulle scale di casa trova la madre ad aspettarlo. Nedo, a differenza di Primo Levi, perse la madre fin dall'inizio, quando sorpassò i cancelli di Auschwitz. Quando arrivò la libertà, Levi era in fin di vita nella baracca dove aveva alloggiato dal primo giorno dell'internamento.
view post Posted: 19/12/2020, 11:19 Heinrich Severloh - Biografie e Personaggi


Heinrich Severloh (Metzingen, 23 giugno 1923 – Lachendorf, 14 gennaio 2006) è stato un militare tedesco. È stato un soldato membro della 352ª Divisione di fanteria tedesca situata in Normandia nel 1944. Egli divenne famigerato a causa del memoriale WN 62 - Memorie su Omaha Beach Normandia, 6 giugno 1944 nel quale Severloh raccontò di come, facendo uso di una mitragliatrice, avrebbe ucciso più di 1 000 soldati statunitensi, forse più di 2 000, mentre questi sbarcavano a Omaha Beach durante il D-Day. A seguito della pubblicazione del libro, molti si sono riferiti a Severloh come "La bestia di Omaha". Le affermazioni di Severloh non sono considerate attendibili dagli storici americani e tedeschi: le perdite statunitensi (feriti, morti e dispersi) nel D-Day infatti, lungo tutti gli 8 chilometri di lunghezza di Omaha Beach, sono stimati complessivamente a circa 2 400 vittime; ciò renderebbe difficile che un singolo uomo possa aver compiuto quanto asserito.

Gioventù

Severloh nacque in una famiglia contadina a Metzingen (Celle) nella landa di Luneburgo.

Servizio nella Wehrmacht

Coscritto nella Wehrmacht il 23 luglio 1942 all'età di 19 anni, Severloh fu assegnato alla 19ª Divisione sostitutiva di artiglieria leggera a Hannover. Fu poi trasferito sul fronte occidentale in Francia, in agosto, per unirsi alla 3ª Batteria del 321º Reggimento di artiglieria, dove fu addestrato come messaggero motociclista. Nel dicembre 1942, fu assegnato alla retroguardia della propria divisione con il compito di guidare le slitte. Come forma di punizione per la propria insubordinazione, Severloh venne costretto a eseguire degli esercizi fisici che gli causarono problemi di salute permanenti e sei mesi di ricovero in ospedale. Dimesso, tornò in licenza dalla propria famiglia che aiutò nel raccolto.

Nell'ottobre del 1943, Severloh venne inviato a Braunschweig per essere addestrato come sottoufficiale ma venne richiamato meno di un mese dopo per riunirsi alla sua unità che venne riclassificata come 352ª Divisione di fanteria e inviata in Normandia.

Omaha Beach si estende per 8 chilometri da est di Sainte-Honorine-des-Pertes a ovest di Vierville-sur-Mer. Le difese costiere di Omaha consistevano in otto bunker di cemento contenenti artiglieria calibro 75 o superiori, 35 casematte, 18 cannoni anticarro, sei fosse da mortaio, 35 Nebelwerfer (lanciamissili), 85 nidi di mitragliatrici, 6 torrette e fanteria di supporto.

La fanteria era costituita da 5 compagnie concentrate in 15 roccaforti dette Widerstandsnester (Nidi di resistenza), numerati da WN-60 (il più orientale) a WN-74 (il più occidentale). Severloh si trovava nel WN-62, il più grande fra essi.

Nel piano d'attacco alleato, Omaha Beach venne divisa in dieci settori denominati "Able", "Baker", "Charlie", "Dog Green", "Dog White", "Dog Red", "Easy Green", "Easy Red", "Fox Green" e "Fox Red". WN-62 si trovava fra Easy Red e Fox Green.

WN-62 era lungo 332 metri, largo 324 e la sua altezza sul livello del mare variava dai 12 ai 50 metri a seconda della distanza dalla riva e aveva un'ottima vista sulla spiaggia. La buca da cui sparò Severloh (49°21′36″N 0°50′50″W) era a 170 metri dal mare e a circa 450 metri dall'area dove giunsero i mezzi da sbarco della prima ondata.

Durante il D-Day, WN-62 era presidiato da 27 membri della 716ª Divisione fanteria statica e da 13 membri della 352ª Divisione di Severloh, il cui compito era dirigere il fuoco delle batterie di artiglieria da 10,5 cm situate a 5 chilometri nell'entroterra a Houtteville.

Le difese includevano due casematte H669, una vuota e l'altra con un pezzo d'artiglieria da 75 mm, un cannone anticarro da 50 mm, due mortai da 50 mm, una mitragliatrice MG34 da 7,92 mm a doppia canna su un supporto antiaereo e due mitragliatrici polacche dell'anteguerra. Un altro cannone anticarro da 50 mm copriva il retro e il perimetro era circondato da filo spinato e mine antiuomo.

Severloh fu assegnato al tenente Bernhard Frerking come suo attendente. Mentre Frerking, situato nel bunker, coordinava il fuoco d'artiglieria della batteria a Houteville, Severloh fece fuoco sui soldati americani in avvicinamento utilizzando una mitragliatrice MG42 e, quando questa divenne inservibile a causa del surriscaldamento della canna, due fucili Mauser Karabiner 98k. Rifornito di munizioni, Severloh sostiene di aver sparato più di 13 500 colpi con la mitragliatrice e oltre 400 col fucile. Intervistato nel 2004, dichiarò: "Erano sicuramente almeno 1 000 uomini, molto probabilmente più di 2000. Ma io non so a quanti uomini ho sparato. È stato terribile. Pensarci mi fa venire voglia di vomitare."

Quando la sua posizione non fu più sostenibile, Severloh si ritirò nel vicino villaggio di Colleville-sur-Mer con Kurt Warnecke della 352ª e Franz Gockel della 716ª, e lì si arrese il giorno successivo. Il suo ufficiale comandante e molti degli altri difensori del WN-62 furono uccisi sul posto dalle truppe americane.Severloh fu inviato come prigioniero di guerra a Boston, per poi essere trasferito in Inghilterra, a Bedfordshire, dove divenne un lavoratore forzato impiegato nella costruzione di strade. Severloh tornò in Germania nel marzo 1947 dopo che il padre scrisse alle autorità militari britanniche dicendo che aveva bisogno dell'aiuto del figlio per i lavori agricoli nella fattoria.

Dopo la guerra

La storia di Severloh divenne nota per la prima volta nel 1960, quando la sua testimonianza venne usata nel libro di Paul Carell Sie kommen! Die Invasion der Amerikaner und Briten in der Normandie 1944.

Negli anni '60 il cappellano militare americano David Silvia, che è stato ferito da tre proiettili nel petto a Omaha Beach, venne contattato da Severloh che aveva trovato il suo nome nel saggio di Cornelius Ryan Il giorno più lungo. I due si incontrarono molte volte, inclusa la riunione delle forze alleate in Normandia del 2005. Il 5 giugno 2004 RTL pubblicò un documentario di due ore co-prodotto con CBC Radio: "Mortal enemies of Omaha Beach – the story of an unusual friendship", diretto dal regista Alexander Czogalla.

In occasione del quarantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, un documentario di un'ora fu trasmesso il 6 giugno 1984 dalla emittente americana ABC. Come parte delle ricerche storiche, Heinrich Severloh concesse una intervista di quattro ore.

Nel 2000 il memoriale di Severloh WN 62 – Erinnerungen an Omaha Beach Normandie, 6. Juni 1944 scritto da Helmut Konrad von Keusgen venne pubblicato.

Severloh morì il 14 gennaio 2006 a Lachendorf vicino al proprio villaggio natale di Metzingen all'età di 82 anni, 6 mesi e 22 giorni.

Edited by Currahee - 26/12/2020, 19:41
view post Posted: 10/12/2020, 17:39 Six Minutes to Midnigh - Sei minuti a mezzanotte - SerieTV e Film


Six Minutes to Midnigh (Sei minuti a mezzanotte) è un film del 2020 diretto da Andy Goddard. Tratto da una storia vera - Estate 1939, Bexhill-on-Sea - Thomas Miller (Eddie Izzard) decide all'ultimo minuto di ricoprire il controverso ruolo di insegnante d'inglese presso l'Augusta-Victoria College, un collegio femminile frequentato dalle figlie dei generali nazisti di alto rango, che si trova sulla costa meridionale dell'Inghilterra. Nonostante la tempesta che sta per imbattersi sull'Europa, le ragazze continuano a seguire le lezioni di portamento e studiare Shakespeare, senza tralasciare la ginnastica e gli insegnamenti essenziali per diventare un valido membro della Lega delle ragazze tedesche di Hitler. Sotto l'occhio vigile della preside Miss Rocholl (Judi Dench) e della sua assistente Ilse Keller (Carla Juri), le ragazze praticano l'inglese e imparano a rappresentare l'ideale della femminilità tedesca. Con l'imminente scoppio di una nuova guerra mondiale e l'incombenza del risentimento rispetto alla loro presenza, l'estate volge al termine per le giovani studentesse.. e non solo. Quando viene scoperto il cadavere di un ex docente, inizia a scatenarsi una serie di eventi che fanno scoprire a Miss Roscholl e alle sue allieve un mondo in cui la fedeltà conta più della sincerità. Thomas deve scappare, fuggendo dalla polizia sotto la minaccia di un'accusa di omicidio che lo condannerebbe all'impiccagione. Mancano solo sei minuti alla mezzanotte: basteranno a Thomas per scagionarsi in tempo e salvare le menti e i cuori delle sue allieve dalla stretta di Hitler?

Edited by Currahee - 14/12/2020, 12:20
view post Posted: 9/11/2020, 21:53 La battaglia di Hacksaw Ridge - SerieTV e Film


L'attacco alla base americana di Pearl Harbor apre un nuovo fronte delle ostilità in Giappone. Desmond Doss, cresciuto sulle montagne della Virginia e in una famiglia vessata da un padre alcolizzato, decide di arruolarsi e di servire il suo Paese. Ma Desmond non è come gli altri. Cristiano avventista e obiettore di coscienza, il ragazzo rifiuta di impugnare il fucile e uccidere un uomo. Fosse anche nemico. In un mondo dilaniato dalla guerra, Desmond ha deciso di rimettere assieme i pezzi. Arruolato come soccorritore medico e spedito sull'isola di Okinawa combatterà contro l'esercito nipponico, contro il pregiudizio dei compagni e contro i fantasmi di dentro che urlano più forte nel clangore della battaglia.
Da William Wallace a Desmond Doss, passando per il figlio di Dio e un cacciatore Maya, il protagonista del cinema di Mel Gibson è sempre lo stesso: il guerriero. Guerriero che attraverso un percorso iniziatico realizza la propria identità e impara a dominare gli eventi.

Desmond Doss, soldato senza fucile armato di fede, costruisce l'archetipo attraverso la conoscenza e l'abbattimento della 'bestialità', superando prove qualificanti che non prevedono mai l'esercizio della violenza e l'efferatezza del gesto omicida. Se Hacksaw Ridge è un film bellico che rievoca la battaglia di Okinawa, gli assalti e i ripiegamenti dell'esercito americano su e giù da una scogliera strategica e contro l'inespugnabile sbarramento nipponico, il suo eroe fuori norma è un obiettore di coscienza che crede in Dio e realizza la fusione tra destino individuale, missione storica e rispetto della legge divina.

Edited by Currahee - 19/11/2020, 18:18
view post Posted: 5/11/2020, 11:26 Resistance - SerieTV e Film



Film diretto da Jonathan Jakubowicz, racconta la vera storia di Marcel Marceau, il famoso mimo francese che durante la seconda guerra mondiale collaborò con la Resistenza francese per salvare la vita a più di 100 orfani ebrei perseguitati dai nazisti.
Marcel Marceau , è un giovane aspirante artista di origini ebraiche, con una grande passione per la recitazione. Marcel cresce in un'Europa per gran parte occupata dai tedeschi del terzo Reich ma non intende finire al fronte. Di giorno lavora insieme al padre nella macelleria di famiglia, mentre la sera si esibisce in piccoli locali di burlesque in città, sfidando la volontà del genitore.
Il giovane mimo un giorno conosce e s'innamora di Emma , affascinante e coraggiosa ragazza, politicamente molto attiva. Per guadagnarsi l'amore di Emma, Marcel accetta di partecipare ad una missione impossibile contro i nazisti, che segnerà per sempre la sua vita. Il suo rischioso compito sarà infatti quello di portare oltre il confine in Svizzera, 123 bambini resi orfani dal regime nazista e in particolar modo dal crudele Obersturmführer delle SS Klaus Barbie.
Marcel insieme al suo gruppo riuscirà a salvare la vita dei giovani orfani e grazie alla sua grande passione e al potere dell'arte, sarà in grado di portare un po' di leggerezza e una ventata di speranza in una situazione così drammatica. Il ragazzo infatti metterà alla prova le sue abilità recitative insegnando ai bambini come sopravvivere alla terribile realtà dell'Olocausto.

Edited by Currahee - 9/11/2020, 21:41
1529 replies since 18/4/2011